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Renewable Energy Report 2022: Italia in forte e colpevole ritardo

Tra roboanti dichiarazioni ottimistiche sul fatto che saremo indipendenti dal gas russo nel giro di poco più di un anno e fantasmagoriche fughe in avanti verso un onirico nucleare 4.0, la vera – e dolorosa – realtà del progresso delle rinnovabili in Italia descrive un quadro molto inquietante. Lo spiega, purtroppo molto bene, il Rapporto sulle energie rinnovabili (RER) realizzato dall’Energy & Strategy della School of Management del Politecnico di Milano e presentato questa settimana. La sintesi inchioda il nostro paese a numeri da fanalino di coda europeo: nel 2030, anno di scadenza per i primi obiettivi del PTE (Piano per la Transizione Ecologica), avremo installato un parco eolico e fotovoltaico di poco superiore ai 50 GW, lontanissimo dai 125-130 GW che sono il target idealizzato. Ciò significa che si dovrebbe incrementare il ritmo d’installazioni tra le quattro e le sette volte in questi anni. Un’accelerazione possibile neanche nei sogni più ottimistici perché i presupposti non sono solo tecnici – quelli sarebbero anche superabili senza grossi problemi – ma, soprattutto, sono legati alla necessità di avere una programmazione integrata e coerente capace di “guidare” 40/50 miliardi d’investimenti ai quali vanno anche aggiunti quelli per gli accumuli e il potenziamento delle infrastrutture di rete. Senza tale programmazione non si creeranno le condizioni perché il mercato finanziario e gli investitori internazionali possano giocare un ruolo attivo nello sviluppo del settore. Tornando ai numeri del 2021, la ricerca evidenzia che qualcosa si è mosso rispetto al disastro dell’anno precedente: la capacità di rinnovabili installata in Italia l’anno scorso è stata complessivamente di 1.351 MW (+70% di potenza rispetto ai 790 MW del 2020, quando era diminuita del 35%) e questo ha portato il Paese a superare la soglia dei 60 GW. L’aumento è stato trainato dalla nuova capacità di fotovoltaico (+935 MW, +30% rispetto al 2020), seguito dall’eolico, che ha registrato la crescita più marcata (+404 MW, +30%) e, ben distanziato, dall’idroelettrico (+11 MW), mentre le bioenergie sono addirittura in diminuzione (-14 MW). Numeri in crescita ma davvero troppo lenti per gli obiettivi prefissati. Dati questi numeri, forse sarebbe proprio il caso che ci fosse un profondo ripensamento da parte del governo sui programmi a breve e medio termine in ordine allo snellimento dei processi di rilascio delle autorizzazioni, anche perché, sempre la ricerca, dimostra che le fonti di energia rinnovabile potrebbero avere un reale impatto calmierante nei confronti dei prezzi dell’energia elettrica oltre che a dare un effettivo contributo all’obiettivo dell’indipendenza energetica. L’ultimo sguardo della ricerca riguarda un aspetto sul quale non sempre ci si sofferma, dandolo sovente per scontato: gli impianti alimentati da energie rinnovabili sono sempre meglio delle fonti fossili, se si considera la CO2eq prodotta durante l’intero ciclo di vita di queste tecnologie? La risposta è inequivocabilmente positiva. Le emissioni prodotte dai diversi impianti di produzione di energia elettrica segnano un solco invalicabile: 1023 grammi di CO2/kWh per il carbone, 436 per il gas naturale, 12,4 per il fotovoltaico europeo, 11,6 per l’eolico europeo, 10,6 per il nostro idroelettrico che si colloca fra i più virtuosi, battuto solo dal nucleare con 4,48 grammi di CO2/kWh. La chiosa finale non può essere che unica: l’idroelettrico si dimostra ancora una volta economico, efficiente, ecosostenibile e…pienamente disponibile, tuttavia è la fonte rinnovabile meno considerata e sulla quale si oppone la maggiore resistenza. Sarebbe davvero il caso di smetterla.

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